La storia di Rachida
Storie di donne che sono uscite dal labirinto della violenza
L'arrivo in Italia
Mi chiamo Rachida, sono nata in Marocco e sono arrivata in Italia con la mia mamma quando avevo 11 anni. Il mio papà era arrivato prima di noi e grazie al ricongiungimento familiare siamo potute arrivare anche noi. Di quel periodo ho ricordi molto confusi: una lingua così strana da quella della mia terra, non capivo nulla! Ma ho iniziato subito ad andare a scuola. Io imparavo in fretta e le maestre dicevano che ero molto intelligente e curiosa.
Più passava il tempo e più lo stile di vita delle mie coetanee italiane mi attirava: mi piaceva stare in gruppo e vestire come loro. Ma poi succede che alla prima mestruazione ho dovuto mettermi il velo: me l’hanno imposto e dovevo metterlo. Io non volevo. Mia sorella, un po’ più grande di me, lei lo porta volentieri. Se lei è contenta io sono contenta per lei. Ma per me non è così. Così appena potevo, fuori di casa, fuori dallo sguardo dei miei, lo toglievo. Non sempre riuscivo a non farmi scoprire. E quando capitava, mi prendevano con le buone o con le cattive perché “ero una ragazza da correggere, una ribelle”. Le botte dovevano servire a correggermi.
Il matrimonio
Poi arrivo a compiere 17 anni mi portano in Marocco per contrarre matrimonio con un uomo di 32 anni, figlio di una famiglia amica della mia. La decisione era stata presa dai due capofamiglia e non ho potuto oppormi. Ho dei ricordi particolari di quelle giornate, uno soprattutto: in un clima di particolare eccitazione le donne della mia famiglia mi portano in camera da letto e mi vestono con un abito nuovo, bellissimo. Quel giorno vedo per la prima volta l’uomo destinato a diventare mio marito. Io poi rientro in Italia e riprendo le mie abitudini e lo stile delle ragazze italiane che sento ormai anche un po’ mio. Appena compio 18 anni ritorno in Marocco con la mia famiglia per la vera “festa del matrimonio”. È questa festa che rende valida l’unione a tutti gli effetti. Poco dopo dall’Italia avviamo la pratica di ricongiungimento familiare che permette al mio sposo di raggiungermi in Italia dopo circa 1 anno e mezzo.
Fino a quel momento per me non era cambiato poi molto: ma appena arrivato inizia la vera vita coniugale e comincio a conoscere l’uomo che ho accanto. Lui non vuole che io vada a scuola e che abbia degli obiettivi personali. Io non ce la faccio, discuto, scappo, voglio continuare ad andare a scuola ma più mi ribello e più lui, anche in accordo con i miei, mi costringe a stare a casa. Sempre più spesso mi picchia. Io ho provato ad essere “una brava moglie”, ma in realtà volevo solo andare a scuola.
Voleva farmi diventare "una brava moglie"
Ad un certo punto volevano farmi tornare in Marocco per “farmi diventare una brava moglie”. Mi avevano fatto tornare a casa dei miei dicendomi che mio padre stava molto male e mi avevano poi chiuso a chiave in una stanza in attesa della partenza. Mia sorella, pressata dalle mie suppliche, anche se la pensa diversamente da me, mi ha aiutata a scappare recuperando la chiave della porta.
La richiesta di aiuto
Quando arrivo al Servizio Disagio Donne della Caritas, non sono da sola: mi ha accompagnata una signora italiana che già conoscevo. Io ero scappata ed ero andata da lei per chiedere aiuto. Le operatrici della Caritas alle quali racconto tutto questo ascoltano la mia storia e mi credono.
Mi chiedono se ero disposta a non tornare a casa e ad entrare in una Casa Rifugio con altre donne per qualche tempo e io accetto. Io voglio finire la scuola e vengo aiutata per questo così riesco ad ottenere la maturità linguistica.
Una vita spezzata in due
Non ho mai voluto rinnegare la mia famiglia, tantomeno la mia cultura di origine né la mia religione. Io sono anche tutto questo, ma mi sono sentita per così tanto tempo “spezzata” in due. Con il tempo e con il supporto delle operatrici ho avviato l’iter legale per la separazione da mio marito, ho trovato lavoro e ho deciso di andare a vivere in autonomia con altre amiche italiane. Ho anche accettato di iniziare un percorso di supporto psicologico.
Ho avuto il coraggio di chiedere aiuto
Ad oggi ringrazio tanto le operatrici per avermi aiutata e supportata nel mio nuovo progetto di vita, ma ringrazio soprattutto me stessa per aver avuto il coraggio di chiedere aiuto.
Prima di salutarci mi hanno detto che loro, per qualsiasi cosa, anche per un saluto, ci saranno sempre e questo mi ha reso molto felice.